La figlia dell’Alchimista – Episodio 8

Isabella si volse a guardare la casa un’ultima volta. Sua madre non si affacciò a salutarla.
«Isabella!» la richiamò suo padre.
Il cielo andava rannuvolandosi e in lontananza si sentiva brontolare il tuono.
Avevano appena lasciato il paese, quando iniziò a cadere una pioggia scrosciante.
Non c’era un servizio di carrozze che collegasse Fontanabella con Castelvecchio al Poggio, il paese vicino, nel quale si trovava una stazione del treno, per cui camminarono ore sotto la pioggia ed erano fradici quando giunsero in paese.
Guglielmo prese una stanza alla locanda e la figlia dell’oste fece preparare per loro un bagno caldo.
Cenarono con uno stufato di verdure, formaggio e pane nero fatto in casa e si coricarono presto.
Isabella non riuscì ad addormentarsi se non all’alba e dormì solo un paio d’ore.
L’ostessa offrì loro una ciambella appena sfornata e cioccolata calda per colazione.
Guglielmo saldò il conto e si recarono alla stazione, dove presero il treno per la città lagunare di Porta del Cielo.
Il viaggio durò quattro ore, durante le quali Isabella provò più volte a parlare con suo padre, ma tutte le volte, veniva a mancarle il coraggio e allora si mordeva il labbro inferiore e chinava il capo, tormentandosi le dita.
Guglielmo trasse dalla borsa un libro e lesse per tutta la durata del viaggio. Nemmeno si accorse dei passeggeri che si avvicendarono nello scomparto, del via vai di persone che scendevano e salivano.
Isabella osservò il paesaggio campestre che scorreva a lato del treno per un po’, quindi anche lei prese un libro dal bagaglio, un innocuo libro di narrativa e lesse; quando fu stanca di leggere, si accoccolò sulla panca imbottita e sonnecchiò. Si risvegliò che erano giunti alla meta, suo padre che la scrollava dolcemente.
Isabella si stropicciò gli occhi, recuperò il bagaglio e segui suo padre in stazione. Non era mai stata in città e la stazione le sembrò enorme.
I binari si trovavano all’interno di una grande galleria di ferro e vetro. Le banchine erano rivestite di lastroni di pietra resi lisci dal passaggio di uomini e carrelli per il rifornimento dei treni. La temperatura era tiepida e si sentiva odore di carbone e ferro surriscaldato. Una serie di passaggi sotterranei mettevano in comunicazione i binari con la sala d’ingresso della stazione, dove si trovavano le biglietterie e un enorme tabellone sul quale numeri e lettere ruotavano continuamente per annunciare arrivi e partenze.
L’ingresso era gremito di gente. Isabella non aveva mai visto tante persone tutte assieme. Su panche di legno dall’aria scomoda dormivano alcuni senzatetto. Una zingara che mandava un odore selvaggio chiedeva l’elemosina con un piattino, passando accanto alla gente con il suo passo claudicante e la voce cantilenante, tendendo il piattino, ma la gente si scostava, scoccando occasionalmente qualche occhiata in tralice alla vecchia.
Guglielmo afferrò una mano di Isabella e la tirò a sé.
«Fa’ attenzione!»
Uscirono sul marciapiede, lungo il quale si fermavano le carrozze.
Guglielmo si allontanò per noleggiare una carrozza; Isabella avvertì uno strattone e un momento dopo s’accorse di non avere più la borsa. Si guardò intorno e vide uno straccione che correva verso un vicolo. Isabella gridò e gli corse dietro, ignorando suo padre che la richiamava.
Lo straccione correva come una scheggia e Isabella era impacciata dal voluminoso sottogonna di sangallo e dalla pesante gonna di velluto. Gli stivaletti con appena un poco di tacco le toglievano stabilità nella corsa. La rigidità del corpetto le tagliava il fiato e i polmoni bruciavano dallo sforzo.
Il piede destro s’incrinò su un sasso; Isabella incespicò ma recuperò l’equilibrio.
Lo straccione si guardo alle spalle e fu sorpreso di averla ancora alle costole.
Dietro di lei, veniva suo padre, un uomo piuttosto robusto, con le spalle larghe.
Doveva raggiungere la banda, che si riuniva in un cortile non lontano dalla stazione. Gli altri lo avrebbero protetto… Chissà, magari ci avrebbero anche ricavato un bel bottino. Rallentò di proposito perché i due potessero stargli dietro.
Isabella si accorse improvvisamente di trovarsi in un fazzoletto di terra racchiuso da quattro palazzi, dove altri straccioni come quello che le aveva rubato la borsa stavano acquattati su un muretto basso o sui rami di un albero morto.
Parlavano uno strano dialetto dal quale Isabella riuscì a cavare solo qualche parola. Afferrò però il senso del discorso e capì di essersi ficcata in un guaio. Quando suo padre comparve alle sue spalle ebbe un moto di sollievo, ma i monelli si misero a ridere e schernirli.
«Andiamo via, Isabella. Lascia perdere la borsa.»
Uno dei ragazzi, quello più grande, saltò giù da un ramo dell’albero e fece balenare la lama di un coltello.
«Eh no, sior mio. Prima la bisaccia! Che, mi fai stupido? Sgancia gli sghei!”
Guglielmo si tolse la tracolla dalla spalla e gli allungò la borsa.
«Ecco, prendi! Ora lasciaci andare!»
L’altro ragazzo, quello che aveva derubato Isabella, strappò la borsa a Guglielmo.
“Ze mia cho!”
“Mona! Dame la borsa!” abbaìo il capobanda.
“Ze mia cho! Adesso me fai entrar ne la banda!”
“Guarda sto mona cho! Ma va te butar in tel canal!”
Il monello ringhiò e saltò al collo del capobanda, che fece scattare il coltello.
Anche gli altri monellacci si unirono alla baruffa. Isabella e Guglielmo furono sopraffatti dalla calca. Guglielmo udì la figlia gridare. Riuscì a soccorrerla e a trascinarla via.
Solo quando furono lontani, alla piena luce del giorno, su di un ponte che attraversava un canale d’acqua torbida, si accorse di avere una ferita a un fianco. Trattenne un grugnito di dolore, afferrò Isabella per un braccio e la trascinò alla Basilica del Messaggero Celeste, dove un adepto vestito d’una tunica color porpora orlata d’argento gli si fece incontro con due guardie armate di lancia.
«Seguitemi.»
Fece loro strada all’interno della basilica, un edificio imponente, austero, riccamente decorato con mosaici d’oro, d’argento e lapislazzuli. Vennero portati in un sotterraneo basso, con il soffitto a botte, dove l’adepto si ritirò per lasciarli con un Gran Maestro dell’Ordine degli Alchimisti Celesti.
Isabella non poteva sapere che quell’uomo, anziano e dal fisico imponente, con una barbetta candida e curata e una sontuosa veste cremisi orlata d’oro, rivestisse quella carica. Notò però che il medaglione che portava al collo rappresentava un elaborato cerchio alchemico.
Il Gran Maestro licenziò le guardie e, alla luce di una lanterna ad olio, li condusse a una porta scolpita nella pietra, d’aspetto vetusto, con la volta e le colonne decorate da simboli e formule alchemiche.
Toccò il cerchio alchemico scolpito al centro della porta e i due battenti si aprirono. Al loro interno, c’era una… barriera? di luce liquida, che restituiva una luminescenza ambrata.
Guglielmo strinse la spalla della figlia e la sospinse all’interno.
La sensazione fu di non essersi spostati affatto, eppure, quando la luminosità si dissolse, si ritrovarono davanti a una distesa erbosa. Isabella si volse; la porta era sparita e, al suo posto, c’era un cumulo di rovine.
«Papà ma che…?!»
Cercò con lo sguardo il padre e vide che si era accasciato sull’erba.

Cosa farà Isabella?

  • Sono assaliti dai Ghoul. Isabella tenta di difendere se stessa e il padre con l’Alchimia. (63%)
  • Cercherà di curare suo padre. Sono assaliti dai Ghoul. (13%)
  • Cercherà aiuto ma il luogo è deserto. Sono assaliti dai Ghoul. (24%)

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